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Sette (sei) anni in una grotta

In Voyager James Fraser passa sette anni nella caverna vicino a Lallybroch: indicativamente dal maggio del 1746, cioè poche settimane dopo Culloden, alla primavera del 1753. La seconda puntata della terza stagione di Outlander trasferisce in maniera piuttosto fedele i contenuti delle pagine del romanzo in cui viene narrato questo periodo (in italiano queste pagine sono contenute nel primo tomo della traduzione, “La collina delle fate”), tranne che un piccolo dettaglio: la trasposizione tv gli sconta un anno, e dunque gli anni nella caverna sono sei, dal 1746 al 1752.

Vi sono altre due differenze sostanziali rispetto alla caverna. La prima riguarda proprio lo spazio in sé. Quella che si vede in tv è molto ampia e spaziosa, addirittura semiarredata. Nel libro si tratta invece di un luogo molto, molto più spartano (oltre alle descrizioni contenute in Voyager, Diana Gabaldon descriverà la grotta anche nel libro successivo, Drums of autumn, in una pagina che nella versione italiana è contenuta nel tomo “Tamburi d'autunno”). La seconda differenza riguarda l'utilizzo della caverna da parte di Jamie, e più in generale i dettagli logistici della sua latitanza. Il libro tratteggia un quadro molto ”notturno”. Jamie passa le sue giornate seppellito all'interno della caverna, con nessun'altra compagnia o occupazione se non qualche libro, e i suoi pensieri. Quando cala la notte, esce per andare a caccia, per sè o per i suoi familiari a Lallybroch. I suoi contatti con la famiglia sono sporadici e molto regolari, una notte al mese va a trovarli, si fa la barba, mangia un pasto caldo seduto a tavola, conversa con Jenny e Ian. La circostanza che vede Jamie a Lallybroch di giorno, rischiando di essere scoperto e arrestato dagli inglesi, è assolutamente eccezionale: nel libro lui accorre a casa perché non vuole lasciare Jenny da sola, al momento del parto, dato che Ian è stato arrestato.

La trasposizione televisiva mostra invece un Jamie diurno. Pare che la ragione sia prevalentemente tecnica – la difficoltà di fare riprese esterne notturne. Il risultato è che lo spettatore non si trova di fronte un Jamie ”animale delle tenebre”, sconnesso dalla vita civile, pallido per la mancanza di esposizione alla luce solare. Eppure gli sceneggiatori e i registi riescono a fare una magia. Riescono a restituire allo spettatore, attraverso l'aggiunta di altri elementi, esattamente lo stesso grado di straniamento e solitudine che Jamie patisce nel libro. Come? Attraverso due elementi che nel libro sono invece marginali. Il primo è l'aspetto fisico di Jamie, pressoché irriconoscibile con barba e capelli lunghi: un vero uomo delle caverne, con addosso vestiti lisi. Il secondo elemento è il mutismo. Jamie non parla più. Anche quando qualcuno si rivolge a lui, gli parla, gli fa domande, lui rimane in silenzio, oppure risponde a monosillabi. Quando parla le parole escono dalla sua bocca con un suono strozzato, profondo, una voce ormai disabituata ad articolare suoni comprensibili. L'incidente di Fergus viene utilizzato dagli sceneggiatori come spinta propulsiva per Jamie per tornare alla vita. Ritrova la sua voce – e anche se quel che decide di fare non piacerà affatto a sua sorella, sarà di nuovo d'ora in poi padrone del suo destino. © insideoutlander

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