Il libro da cui è tratta la seconda stagione della serie TV Outlander, “Dragonfly in amber” – in italiano suddiviso in due tomi separati, “L'amuleto d'ambra” e “Il ritorno” – è strutturato come un sandwich: il prologo e l'epilogo sono ambientati nell'aprile del 1968, mentre tutto il resto della narrazione si riferisce invece al Settecento, e in particolare alle vicende di Claire e Jamie, tra il febbraio del 1744 e l'aprile del 1746, in Francia e in Scozia.
Questa struttura nella trasposizione televisiva viene parzialmente modificata, e tutto il contenuto dei capitoli ambientati nel 1968 viene compresso e trasferito nella 13esima e ultima puntata, il cosiddetto ”finale di stagione”. Rispetto dunque ai lettori del libro, gli spettatori restano molto più col fiato sospeso rispetto a quel che è successo a Claire dopo il ritorno nel Novecento. Solo nell'ultima puntata conosceranno, a livello televisivo, il personaggio di Brianna Randall – la figlia di Claire e Jamie, in realtà intravista all'inizio della settima puntata in una versione bambina – e ritroveranno a Inverness, adulto, il personaggio di Roger Wakefield, figlio adottivo del reverendo Wakefield (già apparso, bambino, nel primo libro della saga, “La Straniera”, e nella prima stagione TV). La narrazione televisiva del 1968 è per forza di cose molto ridotta rispetto a quella del libro, che occupa quasi 150 pagine sommando la parte del prologo e quella dell'epilogo. Proporzionalmente, è come se la serie avesse dedicato 12 puntate a 800 pagine (dunque in media una puntata ogni settantina di pagine), e una sola puntata a 150 pagine. C'è da dire che però si tratta di una puntata speciale: questo finale di stagione ha infatti una durata di 90 minuti, anziché i normali 60. Tutto sommato, il risultato è ottimo. © insideoutlander