Outlander é un “must”, non si può non vedere. Per almeno tre ragioni. La prima è che la storia è perfetta. L'evento scatenante è una bomba, la trama è congegnata in maniera mirabile, la relazione tra i protagonisti è emozionante, e in generale la trama contiene elementi e colpi di scena completamente differenti rispetto a ciò che ci si potrebbe aspettare. È divertente, commovente, appassionante. La seconda ragione è il cast. I personaggi sono interpretati da attori semplicemente perfetti. Non solo i 2 (+1) protagonisti, ma tutti i comprimari. In particolare, ovviamente, è la coppia Jamie-Claire la più significativa: e i due attori chiamati a interpretarli, l'ex modella irlandese Caitriona Balfe e lo scozzese Sam Heughan, bucano lo schermo ciascuno per conto suo, e ancor di più nella relazione. Sono, peraltro, bravi – il che non è scontatissimo: non pochi attori di serie TV, anche molto amate, sono “monoespressivi” o recitano come cliché, con gesti ed espressioni stereotipate; qui abbiamo invece attori capaci di rendere appieno le minime sfumature dei loro personaggi. La terza ragione è che la produzione è una signora produzione. Starz ha messo su questa serie un investimento di risorse, energie e attenzione inimmaginabile. Registi, sceneggiatori, costumisti, scenografi: questa serie è una gioia per gli occhi e per le orecchie, ogni dettaglio è calibrato. Non c'è faciloneria, non c'è sciatteria: Starz sembra molto consapevole di avere una fetta di pubblico – quella dei fan dell' Outlander letterario – molto esigente, ed essere ben intenzionata a superare la prova a pieni voti. Dunque anche Ronald D. Moore é riuscito nella non facile impresa di creare non una serie TV, ma una droga. Una riflessione a margine. Le serie sono, per molti versi, la forma narrativa che rappresenta perfettamente la nostra contemporaneità. Hanno la componente visuale, di qualità sempre più alta anche grazie all'alta definizione e ai continui balzi in avanti delle tecnologie e degli effetti speciali. Hanno la segmentazione in piccoli racconti, di durata definita, che riescono a gestire la trama su un doppio binario, quello della narrazione generale della serie e quello della storia specifica che si dipana in ogni puntata, aprendola e chiudendola nello spazio di 50-60 minuti. Hanno la libertà di fruizione, che permette a ciascuno spettatore di guardare gli episodi con la frequenza che desidera (anche facendone indigestione e consumando una intera stagione in pochi giorni). Rispetto ai film hanno la possibilità di sviluppare storie più lunghe e complesse, approfondire la psicologia dei personaggi. Non è un caso che Diana Gabaldon abbia raccontato in alcune interviste che da molti anni vi erano produttori interessati a portare sullo schermo almeno “La Straniera“, il primo romanzo della saga Outlander; ma che ogni tentativo si scontrava contro un incontrovertibile dato di fatto, e cioè che la storia fosse troppo complessa e ricca per riuscire realisticamente a ridurla in un film di due ore, senza dover sacrificare tre quarti dei contenuti. E poi è arrivato il format perfetto: la serie TV. Una modalità attraverso cui é stato possibile trasportare finalmente in video questo romanzo, e i successivi (per ora il secondo e il terzo, e in lavorazione il quarto) attraverso una narrazione complessiva di 120-150 ore. La prima stagione infatti è composta di 16 episodi, la seconda e la terza (e, stando a quanto annunciato, la quarta che uscirà negli USA a settembre 2018) di 13 episodi. Un tempo congruo per entrare appieno nella storia di Jamie e Claire. Evviva le serie TV! © insideoutlander